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Interpolazioni e approssimazioni (razionali semplici) ad Artissima 18

Novembre 10, 2011

Baldessarri, Quality Material, 1967-1968

Si chiama ‘Approssimazioni Razionali Semplici‘ ed è il progetto che Lara Favaretto, artista trevigiana, e Francesco Manacorda, direttore artistico di Artissima, hanno portato quest’anno alla fiera internazionale d’arte contemporanea di Torino.

Lo scopo del progetto è semplice, quanto può sembrare complicata la radice del suo nome: proporre al pubblico un’ipotesi di museo che si ponga come esatto opposto dell’idea tradizionale di museo stesso. Non più quindi un’istituzione permanente che ordina, cataloga, mostra e poi conserva, ma un organismo temporaneo che disperde il suo contenuto, che lo riacquisisce per mostrarlo e condividerlo e che poi ancora scompare per apparire più tardi. Detta così sembrerebbe solo una gran confusione, ma il progetto si basa invece su un pregresso storico e su convinzioni condivisibili.

Quello che più mi ha interessata di ‘Approssimazioni Razionali Semplici’ è l’idea di collezione permanente del nuovo modo di vedere e vivere il museo. Ogni museo che si rispetti (o che si conosca) ha la sua collezione permanente. Favaretto e Manacorda rimangono fedeli a questo diktat e propongono anche loro una serie di opere che simboleggiano la permanenza nella loro assoluta temporaneità. Ispirata alla Eat Art, la loro collezione permanente è formata da ottanta opere  d’arte riprodotte come torte (potevo farmi sfuggire una notizia come questa io che vorrei parlare di arte e cibo?:)).

Le opere, 20 al giorno, sono state esposte durante Artissima: integre all’inizio della giornata sono rimaste a disposizione del pubblico per essere consumate e perdere quindi il loro status ‘permanente’ durante il resto del giorno. E’ qui che il pubblico diventa complice nel costruire la scomparsa delle opere, la cui presenza è invece, ovviamente, uno dei pilastri su cui si regge l”istituzione museo’.

Beuys, Olivestone (Prototype) ,1984

Tutto questo ha chiaramente motivazioni storiche strettamente legate alla storia dell’arte. Quella contemporanea, infatti, da sempre (o almeno da quando esiste) cerca di sfuggire a quei parametri che vogliono (o cercano di) regolare comportamenti e ordini sociali. Un esempio su tutti è il movimento dell’institutional critique dell’avanguardia che criticava, per distruggerlo, il concetto di istituzione e la conseguente oggettivizzazione delle relazioni umane e culturali. Insomma… una ferrea volontà di liberarsi dalle catene (forse costruendosene di nuove) che la società impone, destrutturandola proprio dove trova il suo porto: nella tradizione e nelle istituzioni che la concretizzano.

Sembra quindi impossibile che una società così, dove stabilità, durevolezza e conservazione vengono messe alla berlina, possa accogliere tra le sue braccia un museo che rappresenti precarietà e provvisorietà, quando è, da sempre, simbolo di tutto il contrario.

E’ proprio su queste basi che è nato appunto il progetto di Favaretto a Manacorda. Al centro mettono il concetto di impermanenza di contenitore (qui il museo) e contenuto (le opere), il depistaggio delle convenzioni (museo come simbolo di stabilità e durevolezza) e un modello precario a cui rifarsi. L’iniziativa è stata portata avanti grazie alla collaborazione di curatori e artisti che hanno aiutato i due a pensare nuovi progetti museali, partendo dalle loro più recenti esperienze o ‘saltando nel buio’ per proporre qualcosa di assolutamente e veramente nuovo.

Per le immagini grazie all’ufficio stampa Paola Marengo

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Categoria: Arte

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Mi chiamo Raffaella Amoroso, vivo e lavoro a Milano dove mi occupo di digital marketing come freelance.

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