Non so come altro dirlo: da stasera, indipendentemente dalla stanchezza, dallo scazzo, dalla mestizia, dall’umore meh e soprattutto dall’ora in cui tornerò a casa, avrò qualcuno (cioè no, qualcosa) che cucinerà per me.
L’anno scorso a una certa ho fatto outing dicendo di saper cucinare perché se mi impegno, ho voglia e non perdo la pazienza, al decimo cucchiaio sporcato (che poi, sic, mi tocca lavare) sono anche quasi brava. Il problema però è sempre uno. Anzi no: ci sono differenti livelli di difficoltà.
Il primo, quello più importante, fa rima con mestizia e si chiama pigrizia: è vero che io devo badare solo a me stessa, ma chi mi conosce sa che mi porto dietro un carico di moltitudini e di mille sfumature d’umore che fareste meglio a levarvi tutti. Quindi quando la sera arrivo a casa dopo una media di 12 ore passate fuori che quando mi va bene sono stata in ufficio e quando mi va meglio ho sgallettato di qua e di là, ho voglia di fare tante cose, ma di cucinare proprio no. Ho toccato livelli di pezzente creatività culinaria che non voglio raccontarteli per non umiliare la tua sicuramente poco fantasiosa capacità di arrangiare una cena senza accendere neanche il microonde.
Il secondo si chiama allergia al supermercato che è quella apparentemente rara quanto invece diffusa patologia che innesca una sorta di conto alla rovescia ogni volta che entro in un qualsivoglia luogo in cui le genti usano fare la spesa: spingo il carrello così velocemente che ciao, spostati per favore, arraffo cose dagli scaffali con una sicumera mai vista in vita e punto ogni volta a toccare nuovi record di minima permanenza in quei luoghi di rara bruttezza. La mia playslist per fare la spesa (sì, OK non commentare) è sempre più corta: la si ascolta una e una sola volta. Finita si deve uscire. È la regola (se vuoi farmi internare, lo capisco, ma giuro sono anche equilibrata. Delle volte).
Il terzo è che per quanto tu ti voglia bene (ne ho scritto un paio di giorni fa sempre qui sopra) a cucinarti con cura e amore come faresti per qualcun altro ce la fai, è vero, ma non sempre e non tutti i giorni. Chi dice che lo fa, sempre e tutti i giorni, ha la mia stima imperitura ed è anche pregato di uscire il trucco.
Quindi per tutti questi motivi (che sono solo alcuni, eh) accolgo con gioia, ovazioni e un eterno grazie CucinaBarilla, un forno che è molto più di un forno perché, in pratica, cucina e, soprattutto, lo fa da solo.
Il forno, marca Whirlpool, è questo qui a cui si accompagnano dei kit studiati e prodotti da Barilla nei quali sono contenuti gli ingredienti per cucinare, per esempio, pasta, risotto, pane, pizza, focacce e torte. Preso uno di questi kit (io ho iniziato dalla focaccia che stasera mangio con un bel po’ di salmone affumicato adagiato sopra), lo avvicini (cioè avvicini proprio la scatola completa di etichetta RFID) al sensore e il forno, che sia benedetto, ti spiega cosa devi fare – che se proprio è una cosa difficile ti dice di versare il contenuto del kit in una delle ciotole speciali fornite con CucinaBarilla e aggiungerci – che so – dell’olio – e poi, bum basta finito andata, si mette a fare quel che deve (impastare, scaldare, bollire, far lievitare, ecc.).
In pratica fa tutto, fuorché mangiare. Perché a quello ci pensi tu. Anzi: prima ci penso io. Finalmente.
Ah, se ti capita puoi dire a mia mamma che la dieta della vodka lemon è finita.