Alla fine l’ho fatto: dopo qualche giorno (settimana) di riflessione, mi sono pre-iscritta a un corso di cucina. Dico ‘pre’ perchè non ho ancora pagato ed evidentemente finchè non si paga si è sempre in tempo per ripensarci senza troppi sbattimenti. Ma penso che comunque non sarà così.
Iscrivermi a questo corso significa molto di più che iniziare a imparare a cucinare il pesce: è il primo passo verso i miei desideri. Qualche giorno fa l’ho scritto: i buoni propositi non hanno sostanza nella mia vita, ma solo la forma che prendono nel momento in cui vengono enunciati e che svanisce un nanosecondo dopo.
I desideri, oltre a essere più ‘appealing’, hanno più senso di esistere ed esaudirli ha un fascino impagabile. Il mio desiderio, quindi, unico e davvero sostanzioso, è quello di iniziare a fare ciò che mi piace veramente, libera dai doveri imposti da un lavoro che che non può e non deve diventare una gabbia e dagli schemi mentali che mi sono naturalmemte e stupidamente costruita nel corso degli anni.
Pensavo che cucinare non mi piacesse e invece adoro farlo. Mi piace camminare tra gli scaffali del supermercato e immaginare a come mettere insieme quegli ingredienti, mi piace cucinare per Enne, mi piace invitare a cena i miei amici e i miei genitori e vederli soddisfatti dopo essersi alzati da tavola, mi piace mettermi alla prova con piatti nuovi e preparare a ripetizione i miei cavalli di battaglia (che sono ancora pochi, ma che vengono davvero bene).
Più ci penso e più mi rendo conto che cucinare è solo la punta di un iceberg fatto di attività che vorrei intraprendere, libri che vorrei leggere, posti che vorrei vedere, abilità che mi piacerebbe poter acquisire. Nell’iceberg poi ci sono anche un mucchio di cose che solo ora mi accorgo non essere del tutto adatte a me.
Mi piace scrivere su questo blog, mi piace che sia mio e non ci rinuncerei per nulla al mondo. Ma non voglio che la sua esistenza e i suoi contenuti siano per forza legati al mio dover correre da una parte all’altra di Milano con l’ansia di non arrivare in tempo a un appuntamento durante il quale, 90 su 100, starei con gli occhi e le dita su smartphone e iPad per dimostrare che sono una blogger che diffonde il verbo (da una parte) e per tenere d’occhio mail e imprevisti di lavoro (dall’altra), perdendomi magari la vera sostanza delle cose o, al contrario, cogliendola per rendermi così conto che forse non fa per me.
Il desiderio di fare ciò che desidero (perdonate la ripetizione) include la libertà più grande e generosa che ci è concessa: la scelta. Io scelgo quindi di scegliere, di non dovermi più sentire obbligata (per dovere verso me stessa, non verso gli altri) ad andare in posti che non mi convincono, a presenziare a eventi che non fanno per me, a sbattermi come una dannata per dimostrare il mio valore.
E’ un po’ come quando incontri una persona che ti piace: quando ti piace davvero non ha bisogno di fare nulla se non di essere quella che è, sempre.
Quindi io rimango qui, tra le pagine del mio blog, in giro per Milano, agli eventi che credo possano darmi qualcosa in più, per aggiungere vita ai miei momenti e non per aggiungere momenti alla mia vita. Mi allontano da tutto quello che credo non possa darmi nulla di più di quanto già ho e per cui io, in ogni caso, non rappresenterei un valore aggiunto, ma solo ‘un numero in più’.
Apprezzo (e voi non sapete quanto) chi ha voluto e saputo apprezzare il valore del mio lavoro qui sopra al di là di un tweet, di una presenza e di una ‘marchetta’. Le storie, quelle belle che rimangono e che valgono, si raccontano quando ci sono percorsi veri da fare, ricerche da compiere, voli pindarici da sperimentare, quando rischiare non è un’alternativa, ma la soluzione e quando la strada che sembra più lunga è poi anche la più figa.