Quando mi capita di leggere dei post di disamina sulla condizione di chi, come me, è freelance mi viene in mente solo un pensiero: “Zitto e lavora“. Come ogni situazione professionale presenta dei pro e dei contro, ma, chissà perché, noi del popolo della Partita IVA ci crogioliamo nel dolore del pagamento delle imposte, del versamento trimestrale (per me) dell’IVA e di tutte le piccole, grandi noie che il lavoro indipendente trascina con sé. Se usassimo altrimenti il tempo che sprechiamo a scrivere delle cose di cui sopra, alle quali non manchiamo di aggiungere post filosofici sul complicato rapporto economico con clienti e fornitori, forse i nostri conti li pagheremmo con un po’ più di facilità.
Qualche tempo fa, per uscire io stessa da una spirale di lamentela in cui mi ero ritrovata, ho proposto ad alcune realtà di tenere dei corsi/workshop sulla costruzione del rapporto di fiducia tra consulente esterno e azienda, argomento spinoso e credo mai approfondito a dovere. Mi sarebbe piaciuto portare in azienda la mia esperienza, ossia quella di chi da oltre 12 anni lavora per conto suo sfiorando costantemente il fianco di chi combatte la sua battaglia professionale dalle trincee aziendali. Mi sarebbe piaciuto, ho scritto, ma in realtà mi piacerebbe ancora, quindi se mi stai leggendo e hai un’opportunità in merito per me, fatti sotto.
Questo post però non mi serve per parlare di fiducia anche se uno sul tema mi gira per la testa da un bel po’ e chissà mai che nei prossimi giorni non possa trovare la luce. Questo post mi serve infatti per rileggermi e dirmi “Zitta e lavora”, ma anche per sfatare 3 falsi miti sul lavoro di chi è freelance. Ce ne sarebbero di più, ma questi che seguono sono quelli che, per me, contano di più.
1. Lavori quando vuoi
Che dire? Sarebbe bello. Anzi no, meraviglioso. Da quando ho iniziato l’avventura della libera professione, però, ho sempre fatto orari di ufficio, spesso sforandoli. Ciò significa che mi metto al computer tutte le mattine tra le 9:00 e le 9:30 e che difficilmente termino i miei compiti professionali prima delle 19:00 – 19:30.
Lavoro quando è necessario che lavori, ossia quando lo fanno anche i miei clienti. Del mio supporto c’è bisogno esattamente come del supporto di una me che lavora in agenzia o in azienda. Quindi le domande sono le seguenti:
- perché se il mio corrispettivo che fa il dipendente lavora – esempio – dalle 9:00 alle 18:00 io potrei poter lavorare – che ne so – di notte?
- e anche nel caso in cui ciò fosse davvero possibile (ma credimi, non lo è): che senso avrebbe lavorare di notte quando faccio un lavoro che si può svolgere di giorno?
- e io chi sono, Paris Hilton, che non ho bisogno di lavorare tutto il giorno tutti i giorni, ma posso permettermi di farlo quando mi pare, il tempo che mi pare, mettendo le scadenze che mi pare?
Le risposte sono queste: il mio lavoro non è in azienda, ma non per questo ha regole differenti per quel che concerne orari, necessità di presenza in termini di supporto e operatività, ma anche di consulenza (visto che è parte di quello che faccio). Un cliente che mi manda una mail o che mi telefona alle 16:00 di un giorno qualunque perché ha necessità – per esempio – che gli risolva un problema, non accetterebbe mai, giustamente, che io gestissi la sua criticità alle 22:30 oppure la settimana successiva oppure ancora 4 giorni dopo. Ho degli obblighi (contrattuali ed economici) che mi legano tanto al lavoro che faccio quanto ai miei clienti. Anche se non mi vedi camminare per i corridoi delle aziende con cui collaboro, sono altrettanto presente.
Last but not least, ho una vita oltre al lavoro che preme perché a una certa stacchi e mi dedichi ad altro che sia il mio fidanzato, la nostra casa, la palestra, un aperitivo con gli amici, una cena, un evento, una festa, il cinema o whatever. I clienti che mi chiamano alle 19:50 e si stupiscono che sia in metro verso casa mi fanno sorridere. Una volta mi facevano incazzare. Oggi, spesso, dopo una cert’ora (a meno che non ci sia una reale urgenza) non rispondo neanche più.
2. Guadagni tanto
Che dire? Magari! Posto che non mi piace parlare di soldi, dico solo che il fatturato non coincide con il reale guadagno. Dalla somma degli importi di ogni singola fattura incassata durante l’anno bisogna sottrarre le spese previdenziali, le imposte, l’IVA (che è sempre un gran casino considerare un’entrata morta), le spese per la gestione del lavoro che nel mio caso sono quelle dell’ufficio, del leasing del computer, del canone del telefono, dell’assicurazione sugli infortuni sul lavoro, dei provider di servizi web vari, del commercialista (che in questo caso non è “quello a cui dai 50 Euro per farti la dichiarazione” ma un professionista che ti segue tutto l’anno, spesso quotidianamente e che quindi, giustamente, si fa pagare per il servizio che ti offre). Diversamente da quello che fanno altri miei colleghi, non ho una pensione integrativa. Altrimenti pagherei anche quella.
Il problema, in ogni caso, non sta nell’ammontare delle spese – comunque alte – o nel fatto che si debba avere una gestione dei flussi di cassa super oculata perché se l’INPS lo si dovesse pagare ogni volta che incassi una fattura (per la quota dovuta) sarebbe semplicissimo, ma la cosa per cui ti arrivano botte da migliaia di Euro due volte all’anno (e paradossalmente quando l’essere umano medio tende a spendere di più, ossia in estate e a ridosso del Natale) rende tutto diciamo più… challenging. Comunque, dicevo, il problema sta nel fatto che, spesso – anzi sempre – il lavoro oscilla. Ci sono anni in cui si sta bene e anni in cui si arranca un po’. E capita anche nel corso dello stesso anno ci siano sorprese amare, clienti che tardano a pagare o che proprio non lo fanno, collaborazioni che subiscono battute d’arresto con o senza ragioni.
3. Non capisci
Questa è meravigliosa. “Non capisci” è la frase che se sei freelance e solo ti azzardi a commentare l’operato di chi lavora in azienda ti senti ripetere più spesso. È come se noi fossimo di un’altra dimensione, una sorta di sottosopra del mondo del lavoro, per cui non possiamo capire. Non capiamo la necessità delle riunioni, non capiamo che il tempo in azienda scorre diversamente rispetto tempo che noi passiamo alle nostre scrivanie o, nell’immaginario romantico delle genti, su una spiaggia maldiviana dove abbiamo deciso di trascorrere il ponte dell’Immacolata (perché noi freelance possiamo – recito testualmente – “prendervi le ferie quando volete”), mentre diamo uno sguardo distratto allo smartphone sorseggiando un Moscow Mule.
Gli unici che non capiscono sono quelli che pensano che la qualità del lavoro di chi opera in azienda e di chi lo fa invece fuori – come consulente, per esempio – debba essere valutata diversamente. Il lavoro è lavoro, da qualsiasi punto di vista lo si guardi. E saper lavorare non coincide né con il tuo inquadramento, né tantomeno con l’acquisizione di competenze specifiche.
Ora basta, torno a stare zitta. E a lavorare.