Vivo in una città che sembra essere stata fatta apposta per me (e per qualche altra centinaia di migliaia di persone), ma mando cuori a un’altra.
Mi vesto di nero, continuamente, anche se so che mi sta meglio il rosso, o il fuxia, come oggi.
Amo parlare, vis à vis, ma passo minuti, ore, giornate della mia vita attaccata a Whatsapp.
Mi piace dire alle persone, chiaro e tondo, quello che penso di loro, ma faccio un lavoro che, dice, non me lo potrebbe permettere. E invece.
Faccio credere alle persone di essere acida, e a volte non glielo faccio solo credere, lo sono proprio. La maggior parte delle volte mi riesce più semplice. Ché essere gentili e dolci è stupendo, ma spesso davvero molto faticoso.
Sono felice di potermi sbagliare, ma ultimamente non mi capita (quasi) mai. Anche se la vera verità è che mi do sempre meno occasioni per capire se. Paura maledetta che non riesci ad andare via.
Amo fare amicizia e adesso che ho l’ufficio in vetrina e vedo le persone che mi passano davanti sono felice e le saluto. Poi però mi dicono che, nei rapporti più stretti, ma non stretti-stretti, lancio messaggi confusi ché forse così tanta voglia di farmi conoscere non ce l’ho. O che, leggi sopra, la paura, la maledetta, me lo impedisce.
Vivo con la testa e il cuore liberi, o occupati tutti e due. Ma delle volte capita che non siano ben sincronizzati e che una pensi a una cosa e l’altro a un’altra (sostituisci con ‘un altro’ e avrai la versione sincera di questa affermazione).
Regalo quadri astrali, ma mi manca parlare di cose pesanti che non portano da nessuna parte e che proprio per questo mi fanno sentire arrivata alla meta.
Mi mancano delle persone, tremendamente, ma non glielo dico mai. Spero sempre che lo capiscano da sole: poi mi chiedo quando mai io ho capito da sola, senza segnali, che a qualcuno stavo mancando. Mi rispondo “praticamente mai”. E quindi dovrebbe venire da sè, di prendere in mano il telefono, attraversare la strada (o la città) e dire “mi manchi”. E invece.
Vivo con i piedi per terra e con la testa tra le nuvole. E quando riesco a recuperarla le faccio comunque fare dei giri assurdi, film che neanche uno sceneggiatore a Bollywood e poi le dico “ciccia, stai serena che certe cose succedono solo se vai al cinema o accendi Netflix”. Invece poi quelle cose capitano anche a me, dopo che ho passato settimane, mesi, a desiderarle, ma capitano proprio quando non ho gli strumenti per affrontarle. O forse non li ho più. O, ancora forse, non li ho, appunto, ancora.
Sono tutto e il contrario di tutto, un po’ come la vita, un po’ come l’amore, un po’ come non lo so.
Se mi dici “vuoi una vita diversa?” ti rispondo di no, dopo due minuti sì, e poi ancora no. Però se me lo chiedi domani ancora sì. E così via.
Ma in tutto questo, quando decido qualcosa, quando mi affeziono a qualcuno, basta ciao è andata. E niente, è andata anche a questo giro.