Un paio di settimane fa mi è capitato, per caso, di ascoltare in radio questa canzone. Non è un capolavoro, lo so, e io non sono neanche una fan di Ligabue. Però l’ho aggiunta alla mia playlist di Spotify, quella che mi infilo nelle orecchie o diffondo nel mio ufficetto ogni volta che posso farlo e quando la ascolto non posso fare a meno di essere d’accordo su quasi tutto.
L’altro giorno ho conosciuto una donna che mi ha fatto sentire orgogliosa di far parte della categoria: ci siamo viste per poco, pochissimo tempo, era un breve incontro di lavoro, uno di quelli che servono per dare un volto e una voce alle parole che leggi in una mail. Incontro tante persone tutti i giorni, parlo con genti in continuazione e, credimi, delle volte sono molto stufa di farlo (ah il silenzio, com’è sottovalutato!). Ma mi capita molto raramente di venir colpita davvero da qualcuno. Portarmi dentro una sensazione positiva dopo aver fatto quattro chiacchiere con qualcuno lo considero un privilegio che avrei piacere di provare più spesso.
Comunque, l’altro giorno conosco questa donna, ci sediamo al tavolino di un bar e lei mi racconta brevemente e in maniera decisa chi è, cosa fa, come vive la sua vita. E chiede a me di fare lo stesso. In dieci minuti ci siamo scambiate un modo di approcciare la vita che è una specie di dono, quello di fare di necessità virtù, di sapere cosa si vuole, ma di essere aperte a scoprire di esserci sbagliate. Di prendere una strada per capire che probabilmente sarebbe stata meglio l’altra, quella là che al bivio saresti dovuta andare a sinistra e non a destra. E di avere la forza d’animo e la grande dignità di ripercorrere all’indietro il percorso fatto, di analizzarne gli errori, cercare di farne tesoro e poi, finalmente, percorrere il sentiero giusto.
Ho pensato molto spesso, ultimamente, alle donne che conosco, a quelle con cui lavoro, a quelle che ho l’onore di poter ascoltare quando mi parlano delle loro gioie e dei loro dolori e a quelle con cui io ho la fortuna di poter fare lo stesso.
Sono tutte donne diverse tra loro, alcune le adoro, altre faccio fatica a capirle, ma ci provo, altre ancora le capisco, ma non le tollero: sono una donna anch’io, ho mille sfumature dentro di me e a ognuna di queste lascio il giusto spazio quando preme per voler primeggiare sulle altre. Il tempo mi ha dato la lucidità necessaria per capire quando fermarmi e quando invece proseguire, quando provarci e quando lasciare il colpo.
Sempre il tempo e la fortuna di essere circondata da donne meravigliose – dalla mia mamma all’amica che sento tutti i giorni, ma vedo poco, dalla mia migliore amica a quella a cui racconto una cosa su cento, ma che quando lo faccio apro il cuore per davvero – mi ha portato a concludere che, a semplificare, ci sono due tipi di donne, entrambi assertivi.
Il primo tipo usa l’assertività pura e semplice come arma e all’obiettivo ci arriva, quasi sempre e altrettanto sicuramente.
Il secondo tipo è assertivo quanto il primo, ma alla decisione e alla sicurezza di quel che è, quel che pensa e quel che vuole unisce anche l’antica e spesso dimenticata arte dell’accoglienza. All’obiettivo ci arriva, quasi sempre e altrettanto sicuramente, ma dietro si porta una coda lunga che non è quantificabile, non è qualificabile, ed è fatta di tutte quelle piccole cose che poi, quando le raccoglie, le fanno pensare quanto sia bello vivere.
E a quanto sia bello farlo così.