Il viaggio quest’anno è stato bellissimo. I viaggi sono sempre belli e il bello dei viaggi belli è che ti sembrano sempre meglio di quelli precedenti. Siamo partiti in due e non siamo tornati in tre. Ma nemmeno da soli, quindi mi sembra già un bel traguardo. La strategia del quando-parto-quando-torno ha previsto che scegliessimo una partenza alta (il 20 luglio) e un ritorno tattico (il 10 agosto) per ‘attaccarci’ poi qualche giorno in montagna nella settimana di Ferragosto.
Meta: la Malesia! Ma anche il Brunei ché tanto è lì e cosa fai? Non ci vuoi andare che chissà mai quando ti ricapita? Gran finale a Singapore da cui sarebbe poi partito il nostro aereo per Milano.
Organizzazione: rigorosamente fatta in casa, la sera dopo aver cenato, con largo anticipo rispetto alla partenza (fanno eccezione Borneo e Singapore che sono stati gestiti mentre eravamo già in Malesia, wi-fi permettendo).
Budget: onesto. In Malesia si spende poco e il volo A/R è stato quasi un affare perché prenotato in aprile. Questo ci ha consentito un paio di chicche che, col senno di poi, meno male ad averle inserite.
Mezzi di trasporto: aereo Milano-Doha-KL e Singapore-Doha-Milano; pullman locali; taxi (pochissime volte); Grab (una specie di Uber asiatico, consigliatissimo e super super economico); voli interni con AirAsia e Singapore Airlines.
Qui ti dico le cose che più mi sono piaciute in 20 giorni di viaggio e che mi sentirei di consigliare a chi dovesse scegliere un itinerario simile (tieni conto che la Malesia – anche a detta dei locals – è, almeno per il momento, fuori dai radar italiani. Trovare un connazionale lì – ma anche nel Brunei – nel periodo in cui siamo stati noi è rarissimo, dove per rarissimo intendo che ne abbiamo incrociati 8 di numero). Quel che segue prendilo come suggerimento e non come oro colato: abbiamo dovuto fare delle scelte che hanno per forza di cose escluso delle zone che altrettanto avrebbero meritato la nostra attenzione.
KL, ossia Kuala Lumpur
Vale la pena per una sola giornata intera. Noi ci siamo arrivati da Milano il pomeriggio tardi, ci siamo fermati tutta la giornata successiva e il mattino dopo ancora siamo ripartiti. Di più sarebbe stato forse troppo. Da bravi turisti abbiamo fatto il giro completo di ciò che la guida ci consigliava: Petronas Towers (biglietto prenotato dall’Italia, abbiamo comprato la prima salita della giornata); pellegrinaggio alle Batu Caves (sei sei donna: ricorda di indossare una gonna alle caviglie: in caso contrario dovrai noleggiare una sorta di pareo di lana che con 35° e un’umidità all’800% è, come potrai immaginare, piacevolissimo); giretto per Chinatown (impressionante il mercato ‘food’ dove vengono uccisi ancora ‘live’ i pennuti che i clienti acquistano); pranzo al Central Market e toccata e fuga a Little India. La sera abbiamo optato per una grigliata pakistana in un posticino super consigliato su Trip Advisor, questo.
Penang
Una visita a Penang è quasi d’obbligo. È da questa isola che, in Malesia, si è diffusa la cultura Peranakan di cui la cucina nyonya ne è il simbolo gastronomico. Peranakan (o Baba-Nyonya) erano quei cinesi che, attraversato il mare, si erano stabiliti intorno al 1400 sulla Penisola malese mantenendo usi, costumi e tradizioni tipici della Cina. Tanti sono i ristoranti che oggi propongono la tipica cucina nyonya che mi sento di suggerire vivamente.
Le guide consigliano di visitare Georgetown: benché il clima sia quasi proibitivo (c’è un’umidità altissima) e manchi di un vero e proprio centro, è sicuramente un giro da fare. Da vedere Armenian Street, cuore del quartiere ora dedicato alla street art, e fucina di localini, negozietti e ristorantini niente male (noi siamo stati al Jawi House e, rompendo tutti gli schemi, all’Edelweiss Cafè dove, in piena estate e con una temperatura al limite del legale, abbiamo mangiato würstel e rösti).
Quel che la guida non dice abbastanza chiaramente è che il mare di Penang è dimenticabile, fatta eccezione per quello che lambisce il Penang National Park: situato all’estremo nord dell’isola, è raggiungibile in bus o taxi e permette delle escursioni in autonomia nella foresta per arrivare a spiaggette bianche lambite da un mare cristallino. Noi abbiamo optato per il trekking che dall’ingresso del parco ci ha portato al faro (una bella sfacchinata) con meritato riposo alla Monkey Beach che, sì, si chiama così perché abitata da macachi dispettosi.
Isole Perhentian
Le vere superstar della Malesia sono loro: le isole Perhentian! Piccoli paradisi dove la sabbia è bianca – sembra quella dei Caraibi – e il mare è trasparente. Dove nuoti a due bracciate da tartarughe, pesci di ogni genere, squaletti e simili. Dove è impossibile andare da una parte all’altra dell’isola via terra perché c’è la foresta (incontaminata) e dove puoi quindi solo stanziare sulla spiaggia del tuo resort o farti portare in barca a fare snorkeling e a vivere finalmente lontana dallo stress.
Noi siamo stati a Besar, sulla spiaggia del resort Arwana: mai scelta fu più giusta. Una pace e una bellezza rare: non fai neanche troppa fatica a entrare in sintonia con silenzio e colori che ti rimettono in equilibrio con il mondo. La sera si cena presto, sulla spiaggia, a suon di grigliate di pesce freschissimo, riso e verdure, illuminati da qualche rara candela.
Se c’è un posto dei cuori, è proprio questo.
Night Markets
Se hai viaggiato in Asia, sai che i Night Markets sono estremamente diffusi e che cenare, ma anche solo fare un giro in questi posti, è il modo migliore per immergersi in una parte della quotidianità di chi qui vive. Veri e propri mercati del pesce – ma non solo – permettono di mangiare con poco, ma di farlo bene. Individui la bancarella che più ti ispira, scegli il pesce che preferisci e te lo fai cucinare come vuoi, ti siedi e consumi una cena al tavolo con altre decine di persone. Noi in Malesia siamo stati a quello di Kota Kinabalu – nel Sabah, una delle regioni del Borneo malese – e ci siamo sfondati di cibo :).
Assaggiare il Durian
I malesi, ma gli asiatici in generale, ne vanno pazzi. Letteralmente. Il loro frutto della passione, non è la banana, ma il durian: scorza dura con spunzoni, cuore morbido (la consistenza sembra quella della pasta della pizza appena ha terminato la lievitazione) e odore indimenticabile. Definito da qualche guida – tipo la nostra – come il frutto il cui sapore è simile a quello di un budino al vomito, è il vero simbolo di una nazione che la sera si trova ai baracchini di durian (tipo i nostri angurai) per gustarlo in compagnia.
Una sera, a Kota Kinabalu, l’ho voluto assaggiare anch’io ed è andata così:
L’Hotel Empire nel Brunei
Da Kota Kinabalu ci sembrava un peccato non spostarci nel Brunei, a soli 45 minuti di aereo. Così, detto fatto: dall’Italia abbiamo prenotato due notti all’Hotel Empire, che qualcuno elenca tra i 7 hotel più belli del mondo (classifiche che lasciano un po’ sempre il tempo che trovano, ma tant’è).
Costruito per volontà (altrimenti detto capriccio) di un collaboratore del sultano, più che un albergo è un vero e proprio monumento al lusso. Realizzato utilizzando marmo di Carrara e oro in ogni dove (e per ogni dove intendo ovunque: dalla hall, agli ascensori, passando per le toilette e i ristoranti) riflette il benessere di uno Stato che conta 450.000 abitanti, protetti da un sultanato che, vero vieta loro di bere, di fumare e di pensare a qualsiasi cosa possa essere lontanamente illegale, ma che garantisce d’altra parte una vita più che dignitosa, spese scolastiche pagate fino al termine dell’Università – da frequentarsi in tutto il mondo così come qualsiasi tipo di spesa medica, dentro o fuori il Paese.
I nostri due giorni all’Empire sono stati meravigliosi: stupenda la nostra stanza, grandiosa l’accoglienza, ottima la colazione a buffet, da togliere il fiato la piscina con affaccio sul mare, indimenticabile la zona fitness. Da quando abbiamo varcato la soglia della hall, abbiamo iniziato a pensare a quale altro viaggio poter fare giustificando almeno un paio di giorni nel Brunei. Altrimenti, è già deciso, ci torneremo apposta.
Singapore
L’estate scorsa, mentre ero a Cuba, dicevo: l’anno prossimo devo riuscire ad andare a Singapore. Neanche a farlo apposta (o forse sì), il viaggio l’abbiamo terminato proprio qui. Che dire? Singapore ha ampiamente superato le mia già altissime aspettative. A chi mi chiede di definirla, dico che è una via di mezzo tra New York (i negozi, le strade piene di persone, i ristoranti – tanti, tantissimi: sembra che non si faccia altro se non mangiare – la certezza taciuta che qualsiasi cosa tu voglia, lì la puoi fare) e Lugano (la pulizia, il rigore, l’educazione civica che non sgarra, la puntualità). Qualcuno la definisce ‘Singabore’, sottolineandone il carattere forse un po’ superficiale: sarà, ma a me è piaciuta moltissimo. Ci siamo stati quasi 4 giorni, 2 e mezzo dei quali passati a girarla in lungo e in largo: soggiornavamo in un discutibile hotel su Orchard Road, LA strada dello shopping, che ci ha permesso però di muoverci molto facilmente.
Sì al Padang – ora utilizzato per praticare sport all’aperto, a due passi da Marina Bay (super sì); consigliatissimo per la cena Chijmes, l’ex monastero con chiesa annessa ora riconvertito a food court con deliziosi ristoranti e locali per il dopo cena. Passaggio obbligato al Raffles Hotel, là dove il Singapore Sling – cocktail a base gin – è stato inventato nel lontano 1915. Noi ci siamo spinti fino a Sentosa, un’isola di fronte alla baia di Singapore, per visitare l’acquario: le giornate di pioggia servono anche a questo.
La chicca della nostra permanenza a Singapore è stata però l’aver soggiornato – per una notte soltanto, ma ne è decisamente valsa la pena – al Marina Bay Sands, l’enorme resort famoso tanto per la sua architettura, quanto per l’infinity pool, la piscina a sfioro al 57° piano che garantisce una vista sulla città da togliere il fiato. Il conto non è tra i più economici e l’accesso alla piscina è ora ad appannaggio esclusivo degli ospiti dell’albergo: la fortuna ha voluto che il nostro soggiorno coincidesse con il 9 agosto, giornata di sole e 52° compleanno di Singapore: dai lettini della piscina e poi anche direttamente dalla vasca ci siamo goduti i festeggiamenti con tanto di fuochi d’artificio serali e caccia a spettinarci i capelli.
Per concludere, altri due posti consigliati: il primo a Cameron Highlands (che nel post non trovi perché tra le zone che abbiamo visitato è quella che meno ci è piaciuta: troppo turistica, offre meno dei tre giorni di permanenza che richiede, ma se vuoi qui c’è una foto che ho scattato durante la visita alle piantagioni di tè) si chiama Smokehouse ed è una costruzione in stile Tudor risalente ai primi anni del Novecento. Sarà che qui, a quasi 2.000 metri di altitudine, un po’ di freddino lo si sente anche in pieno luglio, ma l’aperitivo davanti al camino con l’illusione di trovarsi in piena campagna inglese è stato impagabile.
L’altro, a Singapore, è l’Old Airport Hawker Centre (gli hawker, a Singapore, sono enormi food court dove sono stati riuniti tutti i venditori di street food): praticamente in mezzo al nulla, sicuramente non nel centro della città, è qui che devi venire per provare una vera esperienza di cibo di strada. Consigliatissimo, a nostra volta è stato consigliato da un’amica che conosce bene la zona.
Seguirà un post più ‘lifestyle’ con qualche informazione pratica: come ci si deve vestire per andare in Malesia? La nostra guida ci diceva “donne, copritevi!”, ma è davvero necessario? Cosa si beve? E cosa si mangia? Insomma, cose così :).