A celebrare il Natale appena passato ci ha pensato (anche) un video diventato virale in poche ore: realizzato da John Lewis & Partners, vede come protagonisti Elton John e il suo amato pianoforte in un percorso a ritroso, dall’ultima esibizione fino ad arrivare alla prima nota suonata. È uno dei contenuti che dallo scorso novembre faccio vedere ai miei studenti di digital marketing e, a partire dalla prossima lezione, sarò in grado di aggiungere anche uno di quei fun fact capaci di rendere le storie più godibili.
C’è stata infatti un’occasione, probabilmente l’unica nella sua vita, in cui a Elton è stato cortesemente chiesto di NON suonare il piano: teatro del fatto è stato proprio il Museo Bagatti-Valsecchi di Milano che ho visitato pochi giorni fa per onorare il mio progetto #1MuseoASettimana.
Era il 1994, Elton era a Milano per un concerto al Forum e il giorno dopo l’esibizione chiese di poter fare un giro in quello che da lì a poco sarebbe diventato ufficialmente un Museo (fino ad allora era infatti stata la dimora storica della famiglia Bagatti-Valsecchi): nella Sala della Stufa Valtellinese, Elton si imbattè nel pianoforte che un tempo fu di proprietà di Carolina Borromeo, moglie di Giuseppe Bagatti-Valsecchi, e che lì visse insieme al marito, ai cinque figli e al cognato, Fausto Bagatti-Valsecchi. Accennando qualche nota, il cantante inglese venne subito ripreso da uno dei custodi dell’edificio: “È la prima volta nella mia vita che mi viene chiesto di non suonare il pianoforte”, disse divertito e un po’ stupito.
La bellezza delle dimore storiche è che sono piene di aneddoti: parzialmente recenti, come questo qui sopra, e altri che affondano le radici nella storia delle mura, degli arredi e delle persone che ci hanno vissuto.
Il Bagatti-Valsecchi fino al 1974 è stata la casa dell’omonima famiglia: intorno al 1880 i fratelli Giuseppe e Fausto Bagatti-Valsecchi, dopo aver ereditato la dimora dalla madre e dal secondo marito, decisero di trasformarla in una casa dal sapore rinascimentale. Fecero piazza pulita di tutto quel che di barocco c’era e iniziarono un felice percorso di collezionismo e restyling scegliendo pezzi di arredo, manufatti e opere d’arte quattro-cinquecenteschi.
Il risultato non è molto diverso da quel che è possibile vedere oggi gironzolando tra le stanze del primo piano del Museo (il piano terra – quello che affaccia sul cortile – è affittato ad attività commerciali e il secondo è invece destinato agli uffici del Museo e di altre aziende), ossia un rincorrersi di arredi e complementi d’arte rinascimentali o ricreati, nel tardo Ottocento, sulla scia del gusto quattro-cinquecentesco. A questo proposito in una piccola sala del Museo, l’unica “didascalica” – mentre tutti gli altri spazi sono lasciati alla libera interpretazione dei visitatori – vengono mostrati i taccuini sui quali i due fratelli schizzavano idee di oggetti in pieno mood rinascimentale da far riprodurre, appunto.
Particolarmente scenografica e visibile già al termine dello scalone d’ingresso, è la Galleria delle Armi che Giuseppe e Fausto composero con pazienza nel corso degli anni, confrontandosi assiduamente con Frederick Stibbert che a Firenze, proprio in quell’epoca, stava facendo lo stesso, creando quella che, oggi, è una vastissima collezione (tra armi e oggetti se ne contano più di 50.000).
Un fun fact per chiudere: Giuseppe e Fausto avevano ereditato il titolo nobiliare grazie al secondo matrimonio della madre. Per questo motivo hanno vissuto una vita ibrida, da “civili” per una parte e da “nobili” per un’altra. Questo li ha spinti a crearsi degli stemmi nobiliari effettivamente “falsi”, ma di fatto molto particolari. Qui sotto ne vedi alcuni e nella stanza da letto di Fausto, alzando gli occhi al soffitto, puoi ammirare anche quello con la scarpetta (in milanese “bagatt” significa infatti “ciabattino”).