Questa settimana, dal 25 al 27 gennaio, a Milano c’è Affordable Art Fair, la fiera dedicata a opere di arte contemporanea che non costino più di 6.000 Euro dando così la possibilità agli appassionati di rifornirsi della creatività di artisti emergenti a costi contenuto (per gli standard dell’arte, si intende). A offrirmi un motivo in più per andarci ci ha pensato la visita dello scorso weekend alla Casa Museo Boschi Di Stefano, un luogo tanto magico, quanto pericoloso se almeno una volta nella vita hai pensato a quanto sarebbe (stato) bello essere un collezionista.
In una traversa di via Plinio, all’altezza di Piazza Lima, nell’appartamento che ospitò Antonio e Marieda Boschi Di Stefano sono custodite circa 300 delle 2.000 opere che la coppia collezionò nel corso della propria vita matrimoniale, dall’arte del primo Novecento fino a quella degli anni Settanta.
Se ti è mai capitato di visitare la dimora di un collezionista saprai che quella che si respira è un’atmosfera particolare: gli arredi, così come la loro disposizione, sono sottomessi alle ragioni e alle necessità dell’arte che viene ospitata. Tutto gira intorno alle opere e anche una sedia, un divano o un semplice tavolo diventano un di cui, improvvisamente spogliati della loro effettiva funzione.
Attualmente le opere sono disposte secondo un percorso cronologico che dubito sia stato impostato dalla coppia: una prima parte della collezione venne infatti donata da Antonio Boschi Di Stefano al Comune di Milano già nel 1974 dopo pochi anni dalla morte di Marieda. Alla fine degli anni Ottanta venne poi completata la cessione dell’intera mole di opere.
Non serve essere fini conoscitori della storia dell’arte per rimanere impressionati: l’appartamento, seppur molto spazioso, è di fatto una casa con corridoi, bagni, stanze che si rincorrono l’una dietro l’altra, proprio come si usava una volta. Ciò che ti lascia a bocca aperta sono le pareti, tutte completamente ricoperte di quadri (bagno incluso – vedi qui sotto).
Dopo il primo colpo d’occhio inizierai a essere naturalmente incuriosito da quel che stai guardando: avvicinandoti alle opere e orientandoti con le mappe a disposizione, scoprirai che quello che stai osservando è un quadro di Giorgio De Chirico e che quell’opera nell’angolino in basso – proprio vicino alla finestra – è un Guttuso (uno dei miei artisti preferiti, tra le altre cose).
Rimarrai abbagliato dai colori degli spazialisti e dei nucleari in quello che fu lo studio di Marieda (era una ceramista) e, anche se non lo ammetterai, ti chiederai il senso delle opere di Piero Manzoni. Riconoscerai quelle di Lucio Fontana e, un po’ per sentito dire e un po’ per snobismo, scaccerai quella vocina capace di dirti “Un taglio sulla tela ero capace di farlo anch’io”.
Ti consolerai con le opere di Sironi e subito dopo farai un tuffo nella pittura narrativa della fine dell’Ottocento-inizio Novecento.
Uscirai un po’ stordito perché spesso nemmeno in un museo – uno di quelli istituzionali – è possibile trovare tutto quel ben di dio e quando avrai tentato, invano, di risolvere l’equazione per la quale due persone trascorrono un’intera vita a collezionare della gran arte per poi donarla alla collettività (l’ingresso alla Casa Museo è sempre gratuito) senza pretendere niente in cambio, sarai già per strada con la rinnovata necessità di trovare anche tu un modo per lasciare il segno.