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Magari succede

Ottobre 9, 2015

biennale

Sul muro del mio ufficio ho appeso una delle poesie di Guido Catalano che si intitola ‘Breve dialogo sulla naturalezza dell’amore‘. Gli ultimi versi dicono:

” – allora aspettiamo, magari succede
– magari succede“.

 

magari

Questi versi li ho sottolineati perché questa poesia mi è capitato di scoprirla poco dopo che qualcuno mi aveva detto esattamente le stesse cose. E io a quel ‘magari succede’ mi ero attaccata con le unghie e con i denti e ci avevo arrotolato anche ogni singolo mio riccio, pur di essere sicura di non farmelo sfuggire. Poi niente è successo, o meglio non è successo quel che magari sarebbe potuto accadere. Eppure quella poesia continua a rimanere lì, con un altro significato, forse quello vero e cioè che le cose succedono (o non succedono) anche senza che niente e nessuno le inviti a procedere (o a rimanere ferme).

Quando un paio di settimane fa sono stata alla Biennale d’arte di Venezia, quei due versi che tutti i giorni vedo, tutti i giorni leggo, ma dei quali poi veramente non mi accorgo, sono diventati miei. La nostra guida che ci ha accompagnati tra opere d’arte, storia della Mostra e tra i bambini che partecipano alle attività educational organizzate da Fila, a un certo punto ci ha raccontato una storia che ha dell’incredibile e che ha come protagonista Emily Kame.

Quest’anno in Biennale c’è anche lei. Cioè non lei fisicamente, perché sarebbe impossibile, ma una sua opera sì. È una tela enorme, dipinta con una tecnica molto simile a quella del puntinismo. È un quadro nel quale ci puoi leggere tutto o niente, come spesso accade con l’arte contemporanea.

Ma è la vita di Emily Kame a essere una vera opera d’arte, più di tutte quelle che sono riunite lì, ai Giardini e all’Arsenale. Qualche tempo fa ho scritto di serendipity qua sopra, l’altra sera ne ho parlato a lungo e tutti i giorni indosso un anello che così si chiama. L’arte è stata la serendipity di Emily perché lei, nata nel 1910 e cresciuta nella comunità aborigena di Utopia, un’artista lo è diventata all’alba degli 80 anni, per caso e quando sicuramente tutto stava cercando fuorché il successo e il riconoscimento internazionali.

Emily Kame Kngwarreye – Earth’s Creation, 1994

Emily Kame Kngwarreye – Earth’s Creation, 1994

In poco tempo e fino alla sua morte, Emily Kame è diventata una delle artisti più quotate di tutta l’arte internazionale: al di là di quali siano stati i motivi (la domanda che mi faccio spesso è se dietro l’arte e il successo della stessa ci siano sempre percorsi lineari o botte di fortuna) la magia che c’è dietro questa cosa è immensa.

Così ho pensato che è vero che le cose succedono, che magari succedono e magari anche no, ma che quando lo fanno, quando l’universo si muove perché accadano niente ci puoi fare. Tutto scorre come deve scorrere e spesso quel che cerchi non lo trovi, ma scovi altro che, è pazzesco, fa molto di più al caso tuo.

Questo sarebbe dovuto essere un post sulla Biennale, sulle opere che ho visto e sul dirti quanto un giro tu lo debba fare, che l’arte ti piaccia oppure no. Ma c’è chi scrive di arte meglio di quanto lo possa fare io che nelle cose vedo quello che ho necessità di vedere o che per pigrizia non so dare se non interpretazioni lineari.

L’unica cosa che ti posso dire è che ho capito che il ‘magari succede’ non va vissuto come una speranza tendente alla certezza, ma come qualcosa ricco di tutte le opportunità che si porta dietro. Che le cose le devi volere e sempre, ma che succedono (beh sì, magari) solo quando sono pronte. Non prima, non dopo. A volte vivo situazioni simili a quelle di quando butti cose nel secchio dell’immondizia per poi accorgerti che manca il sacchetto. Un po’ come avere la sensazione di aver anticipato i tempi: hai fatto tutto bene, ma prima che ci fosse il contesto giusto per accogliere questo tutto.

È una brutta sensazione che fa arrivare alla conclusione che non aspetto e non spero: semplicemente voglio perché tanto so che, prima o poi, le cose succedono. Come nel caso di Emily.

 

Qui ho scritto un post su una delle opere che più mi ha colpito e qui e qui trovi le foto delle due installazioni che mi hanno fatto esclamare ‘Oh Wow Sì’.

 

GIOTTO, marchio storico e sinonimo di “colore nato per accompagnare i più piccoli” è Colore Ufficiale delle Attività Educational alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte. Una sinergia di volontà e intenti che pone al centro il mondo dei giovani e la loro crescita in armonia con l’arte. A partire dalle opere raccolte in “All the World’s Futures” grazie al curatore dell’Esposizione, Okwui Enwezor, s’inserisce il lavoro dello staff pedagogico del settore Educational della Biennale. Tutto questo si traduce in laboratori tematici pratico-creativi ossia nel linguaggio che, grazie a un coinvolgimento tattile e attivo, riesce a giungere ai più piccoli in maniera diretta e immediata: un percorso di riflessione sulle opere visionate che trova forma nel gesto artistico compiuto dai bambini in prima persona. A dare pieno supporto a questo viaggio alla scoperta del mondo delle arti c’è l’intera gamma F.I.L.A. – GIOTTO, prodotti  per disegnare, colorare, dipingere, manipolare, sperimentare e creare in sicurezza.

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Categoria: Arte, Ultime Notizie Tag: arte, arte contemporanea, biennale, venezia

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