Partecipo anch’io all’iniziativa di Monurelle che sta raccogliendo una serie di racconti per l’e-book i cui proventi verranno devoluti all’associazione Terre des Hommes per l’acquisto di kit scolastici per bambini dei Paesi in via di sviluppo.
Ecco quindi il mio contributo:
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Nonostante vivesse a Milano da un po’ non si era ancora abituata a dover rispondere alla domanda che tutti in quella città sembravano dover fare: “E tu, di che cosa ti occupi?”. All’inizio tutto questo interesse le era sembrato meraviglioso: gente che magari neppure conosceva era interessata a LEI, a quello che faceva, a quella che era.
Ma era bastato poco per smontare il suo entusiasmo: un lavoro in TV, in una posizione non certo di rilievo, le aveva fatto capire cosa volesse dire essere ‘cool’ per qualcuno e assolutamente trasparente per qualcun altro.
Era ‘cool’ per gli amici che erano rimasti, volenti o nolenti, inchiodati alla vita di provincia. Ai loro occhi lei stava muovendo i primi passi in una grande città e in una professione che lasciava intravedere, illusionisticamente, degli sbocchi interessanti. Il suo ritorno a casa nel weekend era il pretesto per serate passate a raccontare pettegolezzi sui vip, a volte gonfiati e poi, sempre più spesso, minimizzati. Si stava infatti rendendo conto che più che interessarsi a lei, i suoi amici erano presi dai racconti che non la riguardavano. Come se la sua vita si limitasse a quegli scorci di esistenza altrui, rubati dai camerini e interpretati per sentito dire.
Era invece trasparente per le persone con cui lavorava: lei era solo una ‘galoppina’. Che stesse bene, stesse male, fosse stanca, che custodisse mille sogni in un cassetto, che avesse la sua da dire e che fosse molto di più di quel che le era dato far vedere non interessava a nessuno. “Hai portato la lacca?” o “Ma non dovevo avere la mia parrucchiera personale, oggi?” o ancora “Quella là non mi ha dato l’aumento, perché non fai qualcosa?” erano le domande che scandivano la sua quotidianità.
Un ritmo pressante che stava diventando insopportabile. Lo aveva capito un giorno, che sembrava uno dei tanti, e che invece era speciale: si era guardata in quegli specchi che riflettevano l’immagine fintamente felice degli altri e si era vista diversa. Non era per il suo pallore, per le occhiaie o per la stanchezza sul suo volto, ma era, al contrario, perché in se stessa riusciva a vedere qualcosa di più: la voglia di essere esattamente come si sentiva, senza ambizioni che non fossero quella della serenità, senza il bisogno di dover dimostrare qualcosa a qualcuno se non a se stessa. Fu un solo attimo che cambiò le sue prospettive riportandole a essere le sue. Fu quell’attimo che le cambiò la vita, facendola diventare una persona speciale: semplicemente LEI.