La figlia di una mia amica dal prossimo settembre frequenterà il Liceo che io stessa ho frequentato. Mi ha fatto qualche domanda, mi ha chiesto com’era, che tipi c’erano e cose così. Dalla maturità sono tornata là dentro solo un altro paio di volte: una per salutare i prof (uno di quei riti che vissuto dai banchi ti fa sembrare gli universitari ex alunni che passano per celebrare la malinconia delle superiori dei fighi stratosferici, ‘grandi’ e con una vita, mica quella che fai tu) e l’altra per assistere all’esame finale di un’amica. Poi basta.
Il primo giorno me lo ricordo a malapena. Ci hanno fatto fare il giro dell’istituto, “qui ci sono i laboratori”, “questa è la palestra grande, lì c’è una di quelle ‘piccole’ e quello là è il campo da calcio” e poi ci hanno mostrato la nostra aula, in una sede staccata, una scuola media in cui il Liceo ‘affittava’ un piano intero e due aule in un altro piano. Noi stavamo in una di queste due aule. Così, giusto per farti capire la situazione: ti senti un figo che vai a fare il Liceo e poi ti trovi in una sede staccata di fianco al te di uno, due, tre anni prima. Non esattamente esaltante, no.
Questo però ha permesso a me e alle mie numerose compagne di classe (eravamo quasi tutte ragazze) di farci dei film, dei sequel e dei prequel ancora più fantasiosi di quelli che ci saremmo fatti se fossimo state a reale contatto con la vita liceale, i rappresentanti d’istituto e quelli di quinta che si sa, quando sei in prima sono dei fighi e quando sei in quinta sono degli emeriti sfigati.
Eravamo agitate, non sapevamo più dove piazzare i nostri ormoni impazziti e insoddisfatti, fumavamo come se non ci fosse un domani, riempivamo le Smemo di poesie, canzoni, dediche e report minuziosi delle nostre giornate e avevamo convinto il nostro prof. di religione che farci andare a turno a vedere giocare a calcio quelli di quinta fosse l’idea migliore del secolo.
Poi siamo passati in sede centrale e abbiamo scoperto quanto fosse bello fumare al cambio dell’ora in tre in un bagno o sulle scale laterali e di quanto fosse anche esaltante fare casino così, senza motivo. Di quanto passare l’intervallo attaccati ai caloriferi dei corridoi fosse da sfigati e farlo invece sulla scalinata all’ingresso da fighi. E che se avevi un fidanzato era molto meglio fare un giro nel parco piuttosto che ammassarsi con tutto il resto degli studenti.
Abbiamo scoperto l’ansia da interrogazione e la sublime arte della creazione dei bigliettini da attaccare all’interno della cintura, da nascondere nell’astuccio o nella manica del maglione.
Alla mia amica dell’inizio del post non ho saputo dire altro che io in 5 anni di Liceo ne ho viste di ogni: occupazioni con la K, Digos ai cancelli, litigi tra compagne che sembravano tragedie greche, fidanzati sfilati con un’abilità che neanche Houdini, risate senza ritegno, pianti senza sosta, amicizie nate e defunte nel tempo di una sigaretta, scherzi mal fatti e altri ben riusciti. Che mi sono divertita tanto, tantissimo, ma che quei 5 anni mi piace che rimangano lì dove sono e che mai e poi mai, forse perché sono stati così perfettamente imperfetti, li rivivrei una seconda volta.
La scuola è come un amore finito: quando ti ha dato tutto quel doveva e l’unica cosa che potrebbe fare è darti sempre e solo quel che già conosci, ma che in fondo non ti aggiunge niente, beh allora vuol dire che è andata bene così e che è ora di andare avanti. Sarà per questo che io la maturità, dopo averla sostenuta, non l’ho mai, e dico mai, sognata.