La scorsa settimana ho rotto la mia routine e un martedì pomeriggio ho lasciato ufficio e scrivania e sono andata ad ascoltare, senza computer e con uno smartphone tra le mani solo per twittare e prendere appunti, una conferenza. A rompersi sono stati quegli schemi mentali che da qualche mese (anno) a questa parte mi mettono nella condizione di avere il timore di lasciare il timone, fosse solo anche per un pomeriggio, perché “un cliente potrebbe avere bisogno”. A niente valgono le razionalizzazioni per cui il mio non dovrebbe essere un lavoro che si gioca sull’urgenza e che questa, quando c’è, dovrebbe essere l’eccezione, mai la regola.
Lo ammetto: quando mi sono seduta allo Slow Brand Festival mi sono sentita in colpa con la me stessa che ha come diktat il dover fatturare, il cercare di destreggiarsi tra mille scadenze e non lasciarne passare mai nemmeno una senza che i compiti siano stati fatti. Tutti. Come sono diventata così lo so benissimo, non mi stupisce e probabilmente non sarebbe potuta andare diversamente. Ma il primo relatore che ho avuto il piacere di ascoltare, Bruno Contigiani – fondatore de L’Arte del vivere con lentezza – ha detto bene: di rallentare non si deve aver paura, quando se ne sente il bisogno, ma nemmeno si deve avere fretta. La lentezza, dove l’andare piano significa sapersi prendere il proprio tempo, passa anche da un martedì pomeriggio a una conferenza, per esempio.
Dopo Contigiani, sul palco di Patrizia Musso direttore per la quarta edizione del suo Slow Brand Festival, si sono avvicendati grandi brand, PMI e ambassador di una filosofia, quella della lentezza, della comprensione e dell’approfondimento, che dovrebbe essere in grado di colorare la vita di tutti noi, senza imposizioni o prese di posizione.
Se nel business del turismo slow significa porre l’accento sul contatto con il territorio e con le comunità, così come sulla conoscenza approfondita del contesto, in altri ambiti, come quello di Mulino Bianco, per esempio, essere “lenti” corrisponde a concentrarsi nell’immaginare, studiare e dare forma a quella che l’azienda diventerà fra 5 o addirittura 10 anni, così come ci ha raccontato Andrea Dipace, Brand & Equity Communication Manager del mulino più famoso d’Italia. Un’organizzazione vive così di dinamiche slow, fatte di profonde e lunghe riflessioni, accanto alla frenesia del “tutti i giorni”. Possono due paradigmi così distanti convivere in armonia? La risposta è sì, con la speranza che il primo influenzi sempre di più il secondo.
Un mio carissimo amico, che dell’essere slow ha fatto la propria filosofia di vita, in tutti sensi, molto avrebbe amato l’intervento di Lucia Adamo, Direttrice Fondazione Lene Thun Onlus e Responsabile Recruiting e Development Thun, che, chiedendoci di chiudere gli occhi, ci ha fatto modellare un pezzo di argilla, la materia che la Fondazione usa come strumento di inclusione e recupero con i bambini degli ospedali nella quale è attiva. Ammetto il grande disagio provato a chiudere gli occhi in una stanza piena di persone mentre facevo una pallina con l’argilla. Anche qui: segnale che le cose devono cambiare perché quando è la semplicità a metterti in imbarazzo, allora è tempo di recuperare valori che – esistono, lo assicuro – ma che ormai sono molto più che latenti.
La verità è che tutti gli interventi, da quello di Google a quello di Fastweb, passando per Visit Norway (un’occhiata a questa campagna la devi dare per forza) sono stati di grande ispirazione, tutti positivi, tutti estremamente diretti al punto. Io dalla mia sedia ascoltavo e twittavo (da qui con hashtag #SBF018) e pensavo che, adesso, quel progetto di portare nelle aziende la visione di una consulente che un po’ di “slow” lo vorrebbe sempre (dove per slow si intende: organizzazione del lavoro in tempi dignitosi adatti a produrre bene, con coscienza e studio; tempo per l’approfondimento e la ricerca della miglior soluzione possibile, non la prima che ti viene in mente; gentilezza; empatia; rispetto e comprensione del lavoro altrui; attenzione nei confronti dei tempi sociali: davvero io che sono una freelance non ho il diritto di pranzare senza dover rispondere al telefono?; conoscenza approfondita delle dinamiche del lavoro per l’azienda, ma fuori da essa; ecc.) è il momento che si concretizzi. Piano, piano, con tutto il tempo di cui c’è necessità.